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Alitalia: il dossier degli errori. Con Adr fratelli-coltelli

di Gianni Dragoni

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4 Aprile 2008

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Arriva Cimoli, "il risanatore"
Alitalia era in condizioni disperate, aveva bisogno – come oggi, come sempre – di ricapitalizzazione. Arrivato dalle ferrovie con la fama di risanatore, Cimoli ebbe carta bianca. Il 23 settembre 2004 ottenne il consenso dei sindacati al piano che, oltre a 3.679 esuberi (il 18% dell'organico), prevedeva la separazione da Az Fly (attività di volo, 11.900 dipendenti) di Az Servizi (8.600 dipendenti per manutenzione, handling aeroportuale, amministrazione, informatica, call centre).

In quel contenitore, che qualcuno chiamava bad company, c'erano anche i 1.328 aeroportuali oggetto del ping pong tra Cempella e Galia. L'intesa sulla scissione Az Fly-Servizi fu recepita in un «protocollo» firmato a Palazzo Chigi tra il 5 e il 6 ottobre 2004. Il premier era Silvio Berlusconi, sottosegretario Gianni Letta, ministro dell'Economia Domenico Siniscalco, subentrato a Giulio Tremonti in luglio.

L'intesa sindacale, recepita a Palazzo Chigi, prevedeva che Alitalia avesse il 51% del capitale ordinario di Az Servizi fino al termine del piano Cimoli (2008) e che un'altra società pubblica avesse il 49%: fu poi individuata nella Fintecna di Prato, che avrebbe versato 200 milioni in un aumento di capitale riservato. Cgil, Cisl e Uil si batterono allo stremo perché la Fly avesse la maggioranza e non solo il 49% della Servizi. Accettarono che Fintecna avesse la maggioranza delle azioni privilegiate, titoli di serie B, senza diritto di voto.

Già allora temevano che venisse reciso il cordone ombelicale con la Fly, unico cliente di attività nei servizi in perdita strutturale. Per non affondare, Az Servizi applicava prezzi superiori al mercato e si era garantita sette anni di appalti con la Fly, fino al 2012. Un particolare sottolineato dai partecipanti all'asta per Alitalia l'anno scorso. «Ma perché la Servizi fa prezzi superiori del 30-35% a quelli di mercato?», hanno detto i ruvidi manager dell'Aeroflot di Mosca. Analisi condivisa dagli americani del Texas Pacific Group.

Nel 2005 il piano fu presentato all'Unione europea. Per dare il via libera alla ricapitalizzazione Alitalia da un miliardo e della Servizi per 200 milioni, il commissario Jacques Barrot impose che entro il 2005 Alitalia Fly scendesse sotto il 50% della Servizi e che Fintecna avesse almeno il 51% del capitale ordinario.

Il trucco legale della quota a Fintecna
Ma questo passaggio non è mai avvenuto. I sindacati si sono opposti. Az Fly ha tuttora il 51% della Servizi, ma non la consolida nel suo bilancio perché c'è uno stratagemma legale: l'1,6% è stato dato in usufrutto (gratuito) a Fintecna. Prato ha accettato, ma non ha gradito questo marchingegno. La partecipazione di Fintecna in Alitalia Servizi «non sarà di natura permanente», ha detto Prato alla commissione Bilancio della Camera, il primo dicembre 2004.

Fintecna è ancora azionista e, secondo i sindacati, dovrebbe addirittura diventare socia di Alitalia conferendo la sua quota con tutte le attività. Il piano Air France pr la privatizzazione prevedeva di assorbire in Fly 4.200 lavoratori di terra e lasciare gli altri 3.200 nella Az Servizi, che dovrebbe finire sotto il controllo della Fintecna, il 51% subito e l'81% nel 2010.


Anche la passerella di manager in questa società presenta aspetti peculiari. Il primo amministratore unico della Servizi, nel 2005, è stato Lorenzo Riva, che era stato direttore generale di Enimont insieme a Cimoli. Poi l'a.d. è diventato Roberto Renon, ex Edison ed ex Fs, come Cimoli. A capo della manutenzione, il settore più delicato, Cimoli aveva chiamato Livio Vido, ingegnere ex dirigente delle Fs che era stato rimosso dal vertice dell'Italferr perché sgradito a Pietro Lunardi, ministro dei Trasporti e Infrastrutture nel Governo Berlusconi. Vido però non si intendeva di manutenzione: è uno dei pochi dirigenti Alitalia saltati subito dopo l'arrivo di Prato alla Magliana.

La verità sui conti di Az Servizi

Nel 2006 il gruppo Az Servizi ha dichiarato 811 milioni di ricavi, con una perdita operativa di 21,4 milioni e una perdita netta di 1,18 milioni, prima della quota terzi (dedotte le quote di minoranza, il risultato di competenza è in utile di 150mila euro). I dipendenti a fine periodo erano 8.325, con un costo del lavoro di 310 milioni. Ma questi risultati non dicono la verità sui conti della Servizi. Il gruppo, come spiega la relazione al bilancio, ha utilizzato accantonamenti al fondo di ristrutturazione per 47,66 milioni: di fatto, sono perdite non transitate nel conto economico. E, se i servizi fossero fatturati a prezzi di mercato, i ricavi crollerebbero (ma non i costi), per cui le perdite effettive sarebbero ben superiori a 100 milioni all'anno, forse addirittura 200 milioni.
(primo di una serie di articoli)

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